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Trento, marzo 2011
I CENTOCINQUANTA ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA:
IL “NO” DI DURNWALDER E LA LEZIONE DI LANGER

La responsabilità istituzionale del Presidente della Provincia autonoma di Bolzano
di Marco Boato, già Presidente dei Verdi del Trentino e parlamentare per più legislature
da UCT-Uomo città territorio, n. 423, marzo 2011

Ha suscitato molto scalpore nei mesi scorsi il “No” di Luis Durnwalder alla partecipazione della Provincia autonoma di Bolzano alle celebrazioni nazionali per i CENTOCINQUANTA ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA: «Noi ci sentiamo una minoranza austriaca e non siamo stati noi a scegliere di far parte dell’Italia». Sono queste le parole icasticamente pronunciate da Durnwalder (e poi più volte ripetute, più o meno con lo stesso tenore), che per l’occasione si è dimenticato di ricoprire il ruolo non di capo politico di una minoranza etnica, ma di rappresentante istituzionale dell’intera popolazione plurilingue dell’Alto Adige/Südtirol.

Neppure una rispettosa, ma assai critica lettera addirittura da parte del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è riuscita a fargli cambiare idea. Con l’aggiunta di un vero e proprio sgarbo istituzionale, di cui forse Durnwalder non si è neppure reso pienamente conto. Credendo di essere ospitale, in risposta alla lettera di Napolitano, ha dichiarato che il Presidente era invitato a venire in Sudtirolo quando voleva. Come se il Presidente della Repubblica avesse bisogno della concessione o dell’invito del Presidente della Provincia per poterlo fare, neanche si trattasse di una visita in uno Stato estero (e forse questa è la spia mentale di come Durnwalder viva se stesso come la massima autorità di una sorta di Stato autonomo, anziché di una Provincia autonoma.

L’aspetto paradossale di questo comportamento appare più evidente nel fatto che in questi mesi, direttamente o attraverso i parlamentari della SVP, il presidente Durnwalder ha in più occasioni approfittato della particolare debolezza della maggioranza parlamentare di centro-destra, trattando spregiudicatamente col Governo Berlusconi, e con i suoi ministri (Calderoli, Tremonti, Prestigiacomo, Bondi), per quanto riguarda le norme finanziarie, la disarticolazione del Parco nazionale dello Stelvio, la gestione dei monumenti altoatesini di origine fascista. Dunque, una totale spregiudicatezza sul piano pragmatico, ridicolizzando in tal modo anche la presenza politica del PD come alleato di governo, ma una assoluta rigidità sul piano istituzionale, inducendo da ultimo gli stessi assessori del PD al ruolo di rappresentanza etnica (italiana), anziché di partners politici a pieno titolo («se vogliono, Tommasini e Bizzo possono andare alle celebrazioni in rappresentanza del gruppo linguistico italiano, ma non in rappresentanza della Provincia di Bolzano»...).

Sono bastate dunque poche parole (probabilmente dettate dalla paura di lasciare spazio all’estrema destra nazionalista sudtirolese: ma Durnwalder si è dimenticato che gli elettori preferiscono sempre l’originale alla copia) per riaccendere un dibattito che si trascina da quasi un secolo (dalla fine della prima guerra mondiale nel 1918 e dall’annessione del 1919, per l’esattezza) e che ha attraversato tutta la storia repubblicana, dal 1946 in poi.

Alexander Langer, il fondatore dei Verdi italiani, era un sudtirolese di madrelingua tedesca, che ha insegnato a tutti di saper superare non solo le barriere linguistiche, ma anche i muri mentali, attraversando le frontiere fisiche e ideologiche e cercando di capire in primo luogo “le ragioni dell’altro” (proprio all’inizio del 2011 è stata ripubblicata dalla SeIlerio la splendida antologia postuma dei suoi scritti, «Il viaggiatore leggero», a cura di Edi Rabini e Adrano Sofri e con una nuova introduzione di Goffredo Fofi).
Proviamo, dunque, in primo luogo a capire “le ragioni di Durnwalder”, che non è un pericoloso estremista e nazionalista etnico, ma un leader politico e istituzionale al governo della sua Provincia autonoma da più dì due decenni (dalla fine della guerra fredda, nel 1989) e che in questo periodo storico ha fortemente stemperato le contrapposizioni tra i tre principali gruppi linguistici: il gruppo maggioritario tedesco, il gruppo minoritario italiano e la più piccola minoranza ladina (spesso erroneamente assimilata ai “tedeschi”, avendo invece una storia millenaria che li precede: non a caso, in questa circostanza, soprattutto i rappresentanti ladini della Val Badia hanno preso le distanze da Durnwalder). Il “vizio d’origine” sta nell’annessione all’Italia - a seguito della prima guerra mondiale e della “finis Austriae”, la dissoluzione dell’impero asburgico - non solo del Trentino, ma anche del Sudtirolo (rivendicazione che neppure il “martire” irredentista e socialista trentino Cesare Battisti, impiccato dagli austriaci nel 1916, si era mai sognato di fare, immaginando invece un confine di Stato a Salorno, cioè al confine tra l’area linguistica italiana e quella tedesca).

È pienamente comprensibile, pertanto, che - sia pure a quasi un secolo di distanza - molti cittadini sudtirolesi di madrelingua tedesca sentano ancora come propria “patria” (Vaterland) l’Austria e rivendichino come propria “Heimat” il Sudtirolo, pur essendo al tempo stesso a pieno titolo cittadini dello Stato italiano e riconoscendosi quindi nella Costituzione repubblicana. Una Costituzione che all’art. 6 recita «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche» e che all’art. 116 riconosce al Trentino-Alto Adige e ad altre quattro regioni «forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale» e che, sempre all’art. 116, nel 2001 (su mia proposta) ha inserito nel testo costituzionale anche il nome tedesco “Südtirol” a fianco del nome italiano (ma di origine napoleonica e ripescato durante il fascismo) di Alto Adige. Oltre a tutto, c’è anche il paradosso che, certo, si festeggiano del tutto legittimamente i 150 anni dell’Unìtà d’Italia, ma nel 1861 l’attuale Trentino-Alto Adige era ancora parte integrante dell’impero austro-ungarico, e ciò fino al 1918-19, cioè oltre mezzo secolo dopo (e anche il Veneto è entrato a far parte dell’Italia solo nel 1866).

Se ancora oggi nella memoria storica e anche familiare di molti sudtirolesi di lingua tedesca pesa la forzata “annessione” all’Italia del 1918-19 e la durissima oppressione del regime fascista (con il sistematico tentativo di cancellazione della loro identità linguistica e socio-culturale), è necessario tuttavia ricordare tutte le tappe che hanno segnato le vicende di questa terra e della sua particolarissima autonomia nella fase storica post-fascista e repubblicana, dopo la seconda guerra mondiale. Una storia che I’incauto pronunciamento di Durnwalder rischia di rimuovere d’un colpo solo, provocando un arretramento politico e culturale di decenni.

Proviamo dunque a ripercorrere questo cammino repubblicano in estrema sintesi. Nel 1946 l’Accordo Degasperi-Gruber, il patto che è a fondamento ancora oggi dell’autonomia sudtirolese e del suo “ancoraggio” internazionale (tanto che per due volte, nel 1960 e nel 1961, la questione sudtirolese fu portata dall’Austria all’ONU, con l’apertura di una vertenza che si concluse definitivamente solo nel 1992, con la concessione della “quietanza liberatoria” da parte dell’Austria - potenza tutrice della minoranza sudtirolese - all’Italia). Nel 1948, varato dall’Assemblea costituente subito dopo la promulgazione della Costituzione repubblicana (entrata in vigore il 10 gennaio 1948), il primo Statuto speciale di autonomia, conquista importante, ma che ebbe il vizio d’origine di puntare soprattutto sul quadro regionale, mettendo in condizioni di subalternità la minoranza sudtirolese di lingua tedesca appunto in un quadro regionale a maggioranza italiana. Nel 1969 il cosiddetto “Pacchetto” di misure a favore dell’Alto Adige, varato dalla “Commissione dei 19” istituita dal Governo nazionale di centro-sinistra a seguito della citata vertenza all’ONU e del drammatico periodo terroristico degli anni ‘60 (il “Pacchetto” venne accettato dalla SVP di Silvius Magnago a strettissima maggioranza, dopo un drammatico confronto congressuale). Nel 1972 il secondo Statuto speciale di autonomia, approvato con legge costituzionale nel 1971 dal Parlamento italiano dopo aspri contrasti con l’estrema destra nazionalista con il recepimento di molte misure previste dal “Pacchetto” e lo spostamento del baricentro istituzionale sulle due Province autonome di Trento e Bolzano, con un fortissimo ridimensionamento del quadro regionale. Nel 1992 la fine della fase di attuazione del secondo Statuto, con la conseguente concessione della già citata “quietanza liberatoria” da parte dell’Austria e la fine della vertenza internazionale. Nel 2001 l’entrata in vigore della terza riforma dello Statuto, con una nuova legge costituzionale di cui fui personalmente il primo proponente alla Camera dei deputati (tutte queste riforme hanno sempre riguardato anche il Trentino in parallelo con l’Alto Adige/Südtirol). Lungo tutti i decenni dal 1972 ad oggi, una serie ininterrotta di “norme di attuazione” (dello Statuto di autonomia) che hanno sempre più rafforzato le competenze legislative e amministrative delle due Province di Trento e Bolzano, le quali godono di una autonomia istituzionale e finanziaria (di recente modificata e stabilizzata a seguito dell’ “Accordo di Milano”, recepito dalla legge finanziaria dello Stato e introdotto nello Statuto) che non ha pari né in Italia né in Europa (ma anche nel resto del mondo).

Questa rapida rassegna storico-istituzionale permette, alla fine, di sollevare dunque qualche pesante interrogativo sulla scelta di Durnwalder, dopo averne pur riconosciute le originarie ragioni storiche e culturali, riferite soprattutto alle conseguenze della prima guerra mondiale e all’oppressione del regime fascista (ma anche nazista, dopo I’8 settembre 1943). Ha scritto comprensibilmente Paolo Campostrini sul quotidiano «Alto Adige» di Bolzano: «Ai sudtirolesi non può essere chiesto di amare l’Italia per legge. Ma sono state proprio le leggi di questa Italia che hanno consentito a tre generazioni di altoatesini di amare la terra che li ha accolti e ad altrettante di sudtirolesi di godere di un autogoverno senza pari. Ed è questa l’Italia che ricorda i suoi 150 anni».

Luis Durnwalder ha risposto: «Nutro il massimo rispetto verso i sentimenti di chi vuole festeggiare, ma nessuno può essere costretto a festeggiare una cosa quando non se la sente». È vero per quanto riguarda Ia sensibilità personale, ma la responsabilità istituzionale è qualcosa che va al di sopra e al di là dei sentimenti (e anche dei risentimenti...): e a Roma, dove tanto spesso dialoga e contratta con i Governi di ogni colore, Durnwalder avrebbe potuto (e dovuto) rappresentare con dignità e orgoglio, in tutta la sua complessità storica e istituzionale, una terra che nell’ambito dell’Italia repubblicana e costituzionale, rappresenta un modello di autogoverno democratico il quale - quanto a poteri, risorse e responsabilità - non ha pari al mondo, neppure al di sopra del confine del Brennero. «Ohne Grenzen - Senza confini» proclamava proprio al Brennero vent’anni fa Alexander Langer. Anche senza confini mentali, da una parte e dall’altra.

 

  Marco Boato

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